Scritta e resa sonora da Luca Dalmasso, supervisione testuale e parole della canzone di Chiara Bertora, illustrazione di Teresa Dolzan.
Ascolta la versione letta e musicata della storia.
Un giorno come un altro, che non aveva nessun sintomo di essere speciale, arrivò sulla spiaggia di Cefalù un cavallo. Chi era lì sulla sabbia e lo vide affacciarsi da Porta Pescara, racconta che, nonostante avesse appena concluso un viaggio molto molto lungo e fosse decisamente stanco e impolverato, era bellissimo. Nessuno, di fronte alla sua figura maestosa ed elegante, avrebbe potuto indovinare la grandissima fatica che aveva appena affrontato. Il suo manto era magnifico: bianco e compatto come il cielo quando promette la neve, con una criniera che sembrava fatta di tanti fili di cioccolato fondente. Il suo nome era Giribù. Quel che nessuno poteva sapere, vedendolo, è che gli ultimi dieci anni della sua vita erano stati davvero straordinari. C’è da dire che Giribù stesso era un cavallo molto speciale: sin da quando era puledro, amava correre velocissimo nel vento. Poteva capitare – e a dir la verità era capitato spesso – che, appena sentiva un colpo di vento, qualunque cosa stesse facendo (magari era intento a discutere di filosofia con una talpa o di astronomia con un millepiedi) partisse all’improvviso al galoppo facendo a gara col maestrale e le aquile; ma al tempo stesso, Giribù era uno che pensava molto ad ogni cosa che capitava a sé o a chi gli era intorno; e, a forza di riflettere, giorno dopo giorno era diventato un tipo decisamente saggio.
Dieci anni prima del suo arrivo sulla spiaggia di Cefalù, un giorno come un altro, che non aveva nessun sintomo di essere funesto, mentre sfrecciava su e giù nei prati intorno alla città dove abitava sospinto da un caldo vento di grecale, Giribù mise uno dei suoi zoccoli dentro ad un canale di scolo, proprio mentre stava spiccando un salto. Cadde rovinosamente dentro l’acqua. La caviglia non si ruppe, ma da quel giorno non riuscì più a correre come una volta. Poteva solo camminare e a passo neanche troppo svelto. Non poteva più portare pesi. Per questo, pochi giorni dopo, il suo padrone, un uomo come un altro, che non aveva particolari arie da cattivo, l’aveva abbandonato al suo destino nel bel mezzo di un bosco. Aveva sentito da un tale suo amico che un cavallo con le zampe ferite non valeva più nulla. Durante il percorso dal cortile della loro casa al bosco, l’uomo disse molte cose piuttosto sciocche, come a convincersi di star facendo la cosa giusta. Ma l’’unica frase che Giribù sentì veramente fu: “Non sei più tu”. Quando arrivarono nel bosco, Giribù non si voltò a guardare l’uomo che si allontanava e men che meno lo seguì. Non che non fosse capace di tornare indietro in quella casa, anzi, conosceva bene la strada: era solo che non gli andava. Era un tipo saggio, ve l’ho detto: sapeva capire che genere di creature non voleva accanto a sé.
Giribù, cavallo del vento
è il tuo galoppo quello che sento
forse oggi un tuo sogno muore
ma a correr forte c’è sempre il tuo cuore.
Non fu un periodo facile per lui: trascorse i primi giorni, o forse furono settimane, strascicando gli zoccoli per i sentieri del bosco, senza mai fermarsi né per mangiare né per dormire. Non aveva mai provato una delusione più profonda di quella, non si era mai sentito più solo di così in vita sua. Per sua fortuna, mentre si trascinava così, senza meta, passò casualmente, di fianco a due alberi enormi e vecchissimi. Parevano ad una prima occhiata due alberi simili a molti altri nel bosco, ma non lo erano. Giribù si accorse che erano speciali, quando passò loro accanto, perché gli sorrisero. Vi è mai capitato che un albero vi sganciasse un sorriso? La cosa più singo lare, però, era che i due sapevano parlare. Ma non è tutto: quei due dicevano cose terribilmente intelligenti. L’unico problema era che pronunciavano pochissime parole e con una lentezza incredibile. Impiegarono un interno giorno a dire: «Giribù, non avere paura. Continua a camminare seguendo il canto degli uccellini e tra non molto troverai qualcuno ad aiutarti: nel bosco forse c’è qualche pericolo, ma anche tanti amici. Devi solo saperli riconoscere». Giribù aspettò con calma e grande attenzione, in piedi di fronte ai due alberi magici, per tutte le ore necessarie ad ascoltare la frase e dopo si sentì meglio. Ringraziò i due alberi e ripartì avendo ritrovato un po’ delle sue energie.
San due alberi antichi e lenti
della paura puoi fare altrimenti
e ti regalan nuova sapienza
tu degli amici non puoi stare senza
Il cavallo continuò a camminare ancora per molte molte ore, e finalmente, dopo giorni in cui non provava dentro di sé altro che tristezza, cominciò a sentirsi stanco e affamato. Era talmente fiacco che non riusciva quasi più a distinguere il verso degli uccellini da seguire e rischiò più volte di addormentarsi. Stava per fermarsi quando, improvvisamente, da un cespuglio di mirtilli selvatici spuntarono tre scoiattoli. Saltellavano allegramente e, senza dire una parola, gli fecero cenno di seguirlo e lo condussero dietro un masso, dove lui scoprì, con suo grande stupore, che avevano preparato quattro secchi tutti per lui. Gli si scaldò il cuore nel vedere che lo stavano aspettando. Pensò che ci fosse lo zampino dei due vecchi alberi magici, chissà come erano riusciti a comunicare il suo arrivo a quegli scoiattoli. Il primo secchio e il secondo erano pieni di cibo, il terzo era pieno di acqua, il quarto conteneva una busta.
Tre scoiattoli a te sconosciuti
ti hanno mostrato in pochi minuti
quanto sia bello esser pensato
ed il tuo cuore è di nuovo grato.
Quattro secchielli han fatto con cura
ci han messo dentro cibo e premura
c’è una busta di bianco mistero
stai per aprirla sul tuo sentiero.
Giribù ringraziò gli scoiattoli cercando, per come gli era possibile coi suoi zoccoli, di abbracciarli stretti stretti e, dopo aver mangiato e bevuto a volontà, aprì la busta e iniziò a leggere: «Caro Giribù, sono Luna, il capobranco della famiglia di cinque lupi che vive nel bosco. Gli uomini hanno paura di noi, ma non devi credere a questo: in realtà siamo molto più buoni e affidabili di loro. Loro, come sai, a volte sono feroci e spietati. Noi cacciamo solo per toglierci la fame e, quando vediamo qualcuno in difficoltà, cerchiamo di aiutarlo. Prova a fidarti di noi, ti aiuteremo ad uscire dal bosco senza pericoli».
Cinque lupi del bosco signori
che fan terrore a bestie e pastori
stan cercando di offrirti una mano
tu vuoi fidarti o scappar lontano?
Giribù era spaventato: sapere che c’erano dei lupi che lo osservavano nel bosco non lo lasciava per nulla tranquillo; allo stesso tempo, però, l’istinto gli diceva di fidarsi. Non sapeva, però, cosa fare: sul messaggio non c’erano indicazioni precise. Decise allora di rimandare la decisione: era stanchissimo e pensò che fosse davvero arrivato il momento di riposare.
Si addormentò in un baleno e fece un sogno bellissimo: lui che correva nella prateria, veloce, veloce, veloce come il vento, libero e felice, fino a raggiungere un luogo meraviglioso dove, sopraffatto da una bellezza che gli toglieva il fiato, si fermò. Di fronte a lui, sei piccoli laghi, uno vicino all’altro, di sei colori diversi. Giribù via via saltò dentro a tutti e sei e assaggiò le acque che, oltre ad essere colorate, avevano sapori tutti diversi e tutti incredibili.
Sei magnifici laghi fatati,
appaion dentro ai sogni sfrenati
sono belli da togliere il fiato
non ti saresti più risvegliato
Dormì per ore e ore e, quando la luce del sole lo svegliò con una carezza calda sul suo manto bianco, fu così spaventato che fece un salto altissimo. Davanti a lui c’era la lupa Luna, ferma, impassibile, con i suoi occhi gialli e bellissimi. Si guardarono per un tempo lunghissimo, perfettamente immobili, fino a quando Giribù con voce ferma disse: «Mi fido». «Molto bene», rispose la lupa, «in cambio della protezione del mio branco, dovrai trasportare per noi questi sette cestini fino alla fine del bosco». E gli mostrò sette grosse sacche di stoffa piene di qualcosa di misterioso e molto pesante. «Ma io non sono più capace di portare pesi sulla mia caviglia malferma». «Ce la farai».
Sette cestini son la tua sfida
la tua caviglia dolore ti grida
lascia andare quel che sapevi
prendi la forza e fai quel che devi.
Giribù issò i sette cestini sulla sua schiena e iniziò a camminare dietro a Luna, scortato dal resto del branco. Nel tragitto si raccontarono molte cose, ma soprattutto Giribù trovò molto divertente giocare con i piccoli lupetti, così spensierati e allegri. Il percorso fu lungo ma lui si sentì così al sicuro e in buona compagnia che non provò nessuna fatica. Il cavallo e i lupi diventarono amici e, giunti ai confini del bosco, quando arrivò il momento di salutarsi, Giribù sentì il suo cuore farsi stretto stretto, asciugarsi fino a diventare piccolo e coriaceo come un frutto di faggio. Era così triste ma così triste che iniziò a piangere. Questa, potete starne certi, è davvero una cosa molto molto strana per un cavallo. Qualcuno di voi ha mai visto piangere un cavallo? Ma la tristezza che sentiva era diversa da quella dei suoi primi giorni nel bosco. Era una tristezza dolce. La prima lacrima iniziò a scendere dai suoi occhi, poi arrivò la seconda, e poi la terza, e insieme rotolarono come sassolini di cristallo lungo il suo muso bianco. Non riusciva a fermarsi. I lupi cercarono di consolare l’amico cavallo. «Sei un cavallo straordinario. Tra poco ci separeremo, non possiamo evitarlo, ma ricorda: quando ne avrai bisogno, i lupi ci saranno sempre per te». Giribù continuò a piangere ancora un po’: scesero la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava lacrima e solo allora riuscì a fermarsi. Le lacrime erano state esattamente otto, che per un cavallo è un vero record. Poi alzò la testa, guardò i suoi amici lupi e, con un nitrito pieno di amore, li ringraziò e li salutò. I lupi recuperarono i cestini caricati sulla schiena dell’animale e corsero via.
Otto lacrime sgorgan dagli occhi
rotolan giù come marmocchi
stai piangendo, cavallo del vento
ma lo fai col cuore contento
Giribù rimase ancora una volta solo, al limitare del bosco. Sapeva solo che, continuando a camminare dritto davanti a sé, sarebbe arrivato a un paesino che non poteva confondere perché c’erano esattamente nove casette, non una di più né una di meno, tutte perfettamente uguali. Secondo gli alberi, gli scoiattoli, gli uccellini del bosco e anche i lupi, la speranza migliore per Giribù era arrivare proprio lì. Era in viaggio da più di un mese, ma continuò a camminare ancora per una settimana e poi per un’altra ancora, quando, un giorno, al tramonto, seminascoste dietro a una collina, vide le casette. Le contò attentamente: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, … nove! Erano proprio nove.
Nove casette, ora le vedi
al tuo cuore riposo concedi
qui ti han portato gli amici animali
con la promessa di giorni speciali.
Era davvero sollevato di essere arrivato lì dopo tanto camminare, quasi non poteva crederci. Ma, entrato nelle strade del paesino, il germoglio di speranza che gli era nato nel cuore appassì immediatamente: lì, non c’era nessuno. Zero animali, zero esseri umani, zero alberi, niente, nessuno.
Zero animali, nemmeno uno
qui non c’è niente, niente e nessuno
la delusione, cavallo del vento,
ti porta via col passo più lento.
Stava per ricominciare a piangere per la seconda volta nella sua vita, quando, da dietro una casetta, spuntò una bimba piccola piccola, con grandi occhi neri, gli occhi profondi di chi sa tante cose. Senza dire nulla, corse verso Giribù e, con un balzo incredibile per la sua statura, gli saltò in groppa. Si piegò vicino alle sue orecchie e, sussurrando, gli disse: «Ciao Giribù, ti stavo aspettando. La tua vita negli ultimi tempi è stata dura, eh? Ma tu sei un animale coraggioso e sei stato capace di avere fiducia. Sei arrivato fin qui seguendo il tuo istinto, che è un dono che la Natura di ha fatto, ma anche ascoltando i consigli di chi hai riconosciuto come amico sulla tua strada. Io mi chiamo Malak, piacere. Anche a me è successo che le persone che dovevano occuparsi di me mi abbiano abbandonata, sai. Ero disperata, guardami: sono solo una bambina. Ma una notte ho fatto un sogno. Era un sogno così nitido e meraviglioso, che mi ha dato coraggio. Nel sogno c’era un cavallo, c’erano dei laghi colorati e c’erano dei desideri da realizzare. Mi sono svegliata con la certezza di poterne esaudire almeno uno. Ora dimmi: qual è il tuo sogno?». Giribù non ci pensò nemmeno un secondo e rispose: «Ritornare ad essere chi sono, ritornare a correre nel vento». Malak, allora, fece un respiro profondo e disse: «Giribù tu sei sempre stato tu, per tutto questo tempo nel bosco: non l’hai capito? E adesso, vai, corri, il mio desiderio è tuo. Corri e portami con te dove vuoi, veloce come il vento: mi fido di te».
Si alzò allora un potente vento di scirocco che veniva dal mare. Giribù, senza dire una parola, partì al galoppo. Era uno spettacolo sorprendente: correva vigoroso e leggero. Le sue zampe forti planavano sulla terra quasi senza toccarla. Sembrava volare.
Questi miei occhi neri e profondi
han visto dentro a tutti i tuoi mondi
qui ti aspettavo, cavallo del vento
ti avrei trovato tra almeno altri cento.
In mezzo ad un sogno ci siamo incontrati
e qui nel mondo ci siamo salvati
oggi il mio cuore fa un gran capogiro
è il tuo galoppo quello che ammiro.
Corse per ore, o forse furono giorni. Poi tornò indietro e fece salire dolcemente Malak sulla sua groppa. Fu così che il cavallo Giribù e la bambina Malak diventarono inseparabili. Per dieci anni girarono tutto il modo insieme incontrando luoghi incantati e creature sconosciute. Visitarono dieci paesi, uno per ogni anno, tutti diversi, tutti a loro modo affascinanti e preziosi.
Alla fine del decimo anno, il cavallo Giribù e la bambina Malak ebbero un’idea…
Continua tu la storia…
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