Vado a scuola e porto con me un’idea che mi sembra bella. Costruiremo una poesia, penso tra me e me, pedalando con forza, sempre in ritardo come sono. Manca un’insegnante nella scuola e il tetris delle sostituzioni farà sì che oggi trascorra due preziose ore con i bambini che, nella classe dove sono supplente di sostegno, non fanno religione.
Mi frulla nella testa il desiderio di scrivere con loro una poesia su maggio. Mi dico che lavorare su rime non scontate potrebbe essere divertente, cominceremo da lì, a trovare delle rime e poi a ragionare magari un po’ sull’equilibrio delle lunghezze, sul numero di sillabe, almeno per cominciare.
Quando restiamo da soli noi cinque in classe e il resto dei bambini si sono spostati nell’aula di religione, ci riuniamo intorno alla lavagna e cominciamo a scrivere quello che ci viene in mente.
Maggio
Raggio
Faggio
Formaggio
Coraggio
Ostaggio
E dopo le prime rime, anche un po’ prevedibili però in cui forse si intravede già un possibile filo da tendere e intrecciare, chiedo loro: cosa ci fa venire in mente maggio? Penso che sarà da lì, da queste risposte che proseguiremo alla ricerca di nuove rime, più fresche, meno scontate.
Cominciano a rispondere: maggio mi fa venire in mente la primavera, maggio è il mese dei fiori. Reagisco: no, dai, non diciamoci cosa c’è scritto sui libri, diciamoci cos’è maggio per noi. Voglio che escano fuori dallo schema di risposte ovvie, dobbiamo trovare le nostre di risposte, solo così sarà la nostra poesia di maggio. Al che, ci pensano su e poi cominciano a trovare le loro strade di maggio: per me maggio è uscire in bici, per me maggio è andare ogni tanto a cavallo, per me è l’allergia ai pollini per cui maggio non mi piace per niente, nemmeno a me: troppe verifiche!, per me maggio è la festa di compleanno di mia cugina a Zero Gravity. Ecco che ci siamo, penso tra me e me.
Poi dal quaderno di N. scivola un foglio a terra. A. lo prende, le sento parlottare. Chiedo se hanno voglia di raccontare a tutti.
N. mi spiega che stanno scrivendo un racconto. Lei e i suoi compagni sono preoccupati che il prossimo anno li spostino in un’altra scuola per permettere dei lavori necessari qui, in questo edificio. Non vorrebbero lasciare la loro scuola e così stanno architettando un piano segreto per riuscire a evitare l’operazione. Sul foglio hanno cominciato a raccontarlo.
Me lo raccontano con grande trasporto. Mi si affaccia un pensiero: ehi, un momento, allora è questo che vogliono scrivere. Dai, dico loro, scriviamo il piano, se vi va. E maggio? E maggio chi se ne frega, tornerà il prossimo anno, ne scriveremo un’altra volta.
Ci mettiamo all’opera. Ognuno sul proprio foglio, io sul mio taccuino. Loro negoziano cosa scrivere, io do qualche indicazione di forma e sui passaggi logici, nient’altro. Loro gli autori, io un editor che cerca di starsene al suo posto.
Maggio e io ci guardiamo negli occhi e facciamo un passo indietro.
La storia è una piccola avventura di cui loro sono protagonisti e, uno dopo l’altro, sfuggono una notte ai loro letti eludendo la sorveglianza dei genitori e si incontrano per riparare la scuola. Per entrare hanno bisogno di un complice adulto, ed ecco che nella storia trovano un posto anche per me.
Suona la campanella, ma la storia va miracolosamente avanti in tutti gli intervalli di pioggia, quando non si scende in cortile. Mi chiamano, porta il taccuino mi dicono, e andiamo avanti. Piano piano si uniscono anche altri compagni, vogliono copiare le parti già scritte, partecipare a quello che viene dopo. Si raccomandano con me: non dirlo a nessuno degli altri grandi, è un segreto! Poi piano piano ne sono così orgogliosi che lo mostrano prima a una maestra e poi all’altra. Scrivendo, mettiamo a posto molte cose. Seduti sulle scale in corridoio, sistemiamo i passati, i presenti, i futuri. Mettiamo in ordine i punti, le virgole, i due punti; lasciamo spazio a qualche punto e virgola. Facciamo un super ragionamento sul narratore, che qui non è per niente facile perché loro stanno raccontando di un’avventura di cui sono protagonisti. Ma, avendo scelto la terza persona all’inizio, anche se è difficile, dobbiamo restarle fedeli. Piano piano, qualche volta, riescono a capirlo da soli che quell’ “andiamo” tocca farlo diventare “vanno”, che gli occhi non sono i nostri, ma di un drone che ci segue da vicino.
E così maggio è finito e loro hanno scritto una storia.
Dentro all’allegria che cancella la fatica, hanno impacchettato per bene, una parola dopo l’altra, la loro avventura, con passato presente e futuro, le virgole, i punti, il narratore, tutto al posto giusto.
Maggio e io, nel frattempo, siamo pronti per partire verso nuove avventure. Ci guardiamo: siamo entrambi orgogliosi di aver saputo fare un passo indietro.
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