Quando hai a che fare con i bambini, ti trovi più spesso vicino a discorsi o emozioni che coi grandi, invece, improvvisamente finiscono nelle tasche del pudore o della presunta inutilità. I gesti teneri come una carezza sul viso, una mano rassicurante sulla spalla, i complimenti e gli incoraggiamenti, i rimproveri costruttivi li dedichiamo solo ai bambini, ai grandi non più molto. Ed è più probabile che sia pensando ai bambini di cui abbiamo responsabilità che spingiamo il pensiero un po’ più su a tentare di agganciare cose alte come la giustizia, la libertà, la pace. Strano, no, che i significati più profondi con cui e per cui stiamo al mondo finiscano per essere questioni che se va bene sono da bambini, e, invece, nella maggior parte dei casi finiscono per non trovare posto da nessuna parte. Difficile cogliere o magari partecipare o avviare discorsi tra adulti che si interroghino su uguaglianza e equità, giustizia e parità, libertà e limiti, conflitti e pace, no? Ben più facile che noi grandi parliamo di denaro e tempo, questioni di salute, lavoro e tempo libero, di trattamenti estetici, acquisti inutili, burocrazia, contenuti capaci di distrarci, gite fuori porta, stipendi, spese, ansie, programmi e ritardi.
Poi, apparentemente da un giorno all’altro, accade un conflitto nuovo o risvegliato che sia, e ci ritroviamo a fare i conti con la guerra e con la pace, e lo facciamo con approcci e strumenti che, a tratti, sembrano siano rimasti là, ai bambini che siamo stati. Postiamo le poesie di Rodari suoi social, chiediamo alle sue rime che ci ricordino che ci sono cose da non fare mai, come la guerra, ma non approfondiamo le questioni, lasciamo che ci sfiorino la pelle in superficie, ci accontentiamo di accodarci alle onde di indignazione collettiva pensando di mantenerci, così, vivi e vigili, discreti cittadini, persone dalla parte del giusto.
Comunque sia, per mia fortuna, coi bambini ci lavoro e quindi posso permettermi di pensare a questioni importanti senza sembrare eccessivamente eccentrica o fuori dal mondo di ciò che conta per gli adulti. Ed è così che, ultimamente, rifletto lungamente sulla pace, da dove nasca, dove si rintani quando sfugge, di cosa si alimenti quando prospera. Osservo i bambini in classe, parlo con loro. E scopro che la bellezza della pace non è scontata nemmeno lì dove pensiamo che la sia.
Un giorno un bambino della mia classe era impegnato durante l’intervallo nell’ennesimo lavoro manuale spontaneo nel quale è molto abile. Al termine del suo ritaglia, incolla, modella, colora, mi porta a vedere orgoglioso la sua nuova pistola di carta e scotch. “È un bel lavoro, ma a me le armi non piacciono”, gli dico, “servono a far paura e ad uccidere, servono a fare le guerre”. “E perché non ti piacciono le guerre, maestra?”. “Perché fanno male e io preferisco le cose che fanno bene”. La conversazione termina per me con la certezza che lui non sia per niente convinto, ma il giorno dopo, in maniera inattesa, torna con un altro oggetto in mano. “Maestra, guarda: ho trasformato la pistola in un boomerang”. Sorrido, gli faccio i complimenti. Allora qualcosa ha capito, dico tra me e me. Lui, invece, mi guarda con un mezzo sorriso e mi dice: “Lo sai, vero, che i boomerang servono ad uccidere gli uccelli?”.
Penso molto alla pace, dicevo. Non c’è posto scontato in cui possa abitare, nemmeno i pensieri di un bambino di sette anni bravo a costruire navi, aeroplani, pistole e boomerang di carta. Ma, per fortuna, non c’è nemmeno posto dove non possa essere seminata, fatta germinare, aiutata ad insediarsi, riconosciuta, trapiantata, difesa.
C’è poi un altro bambino che, in un giorno per lui di conflitti, non vede l’ora di andare a casa di una compagna per giocare col fratello grande ad un videogame di guerra; mi chiede se a me piace e io rispondo che no, non amo né i videogame né i giochi di guerra. Gli chiedo se per caso non gli piaccia qualche altro gioco dove l’obiettivo non sia uccidere e lui mi risponde che non mi devo preoccupare, visto che al livello dove è arrivato adesso lo scopo è eliminare un cattivo e quello è così cattivo che deve proprio essere ucciso.
Penso alla vendetta, penso alla disumanizzazione, penso a come, anche al di fuori della finzione del gioco, qualcuno possa considerare giusto educare a considerare sbagliato qualcuno e non le azioni di quel qualcuno. Per fortuna, mi dico anche che ci si può adoperare per non perdere mai di vista l’umanità di quello che, per una ragione di qualsiasi tipo, si considera come nemico.
Combinando un po’ di pensieri, forse, è vero che la pace è una via, un modo, non un luogo da raggiungere, ma un sentiero per.
Qualcosa di cui occuparsi ogni giorno.
E, allora, con gli strumenti che ho, cerco di occuparmene, millimetro per millimetro.
Per far sì che i bambini non siano eccessivamente gelosi dei loro oggetti e finiscano per non prestare la cancelleria chiudendosi dentro a piccoli individualismi, presto sempre la mia colla, le mie matite colorate, qualche volta persino le mie penne cancellabili di cui sono gelosissima: loro, piano piano, lo fanno a ruota; per far sì che qualche compagno giochi nell’intervallo con quel bambino in particolare che ha difficoltà a farsi qualche amico, corro io con lui verso l’orologio di Milano, poi arriveranno gli altri e non si accorgeranno, nella foga del gioco, di quando me ne sarò andata di soppiatto; e se piove, giocheremo a rubamazzetto, qualcuno si unirà; passo tra i banchi e abbasso i portapenne alzati, dicendo che copiare e lasciar copiare non è sempre sbagliato; sorrido molto spesso, abbraccio ogni volta che ne ho il permesso, accarezzo, quando mi arrabbio, dopo spiego quella rabbia; mi fermo se c’è un attimo di armonia: fossero anche pochi secondi ci faccio caso, con loro, a come ci si sente bene quando accade.
È sempre una carezza quando un bambino finisce il proprio lavoro e chiede se può alzarsi ad aiutare un compagno; sono carezze tutti i “tocca a te, fallo prima tu”, tutti i “facciamolo insieme”; sono bagliori di pace tutti gli screzi e le smanacciate istintive che si trasformano uno a uno in “mi sono sentito male quando hai fatto questo” o “in maestra, aiutami”; sono millimetri di pace tutti gli “scusa”, quelli pronunciati con la voce e quelli detti con una sedia spostata per stare un po’ più vicini.
[l’immagine che accompagna questi pensieri è di https://www.instagram.com/officinamezzaluna/ ed è dedicata alla libertà: a ben pensarci, va bene così]
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