Iscrittз a un concorso di poesia, nel quale era possibile inviare tre componimenti per classe, lз bambinз, divisi in gruppi, si sono messз all’opera. Scrivere a più mani è un’opera di continua negoziazione che, lo so bene, richiede profonda apertura, contatto fine tra sé e l’altro, autocontrollo e rispetto. Insomma, niente di facile: un processo che si sa fin dall’inizio porterà attimi di conflitto e frustrazione.
Il lavoro porta alla creazione delle poesie. Ed è nel momento in cui, dopo lettura, condivisione e revisione, i gruppi si rimettono all’opera per trascrivere in bella copia, che lo strano incantesimo di cui siamo statз tuttз preda fino a quel momento si dissolve come una bolla: i gruppi sono quattro anziché tre. Le poesie sono quattro anziché tre.
La mia collega P. e io ci guardiamo sconcertate: com’è possibile che non ce ne siamo accorte prima?
A quel punto dobbiamo scegliere una poesia da scartare.
Condividiamo subito il problema con lз bambinз: dopotutto, sono loro lз partecipantз e protagonistз.
— “Le mettiamo ai voti, a scrutinio segreto?”
— “No, qualcuno ci rimarrebbe troppo male, e poi siamo troppo coinvolti tuttз.”
Qualcunз propone:
— “Che decidano le maestre.”
Istintivamente, rispondiamo in coro che no, non se ne parla nemmeno.
— “Proviamo a rileggerle, e vedere se almeno due si assomigliano, così magari possiamo fonderle in una sola.”
Sì, sembra una buona idea. Rileggiamo, poi ognunз esprime la propria opinione su quali si potrebbero unire.
Si attiva subito una naturale protezione verso il proprio componimento, e le poesie da unire sono — ovviamente — quelle di qualcun altrə.
Maestra P. e io ci guardiamo sconsolate. Un nostro intervento potrebbe risolvere il problema organizzativo, certo, ma senza nemmeno bisogno di parlarci sappiamo che ridurrebbe drasticamente il coinvolgimento e l’impegno dellз bambinз.
— “E se facessimo un cut-up?”
— “Eh?”
— “Sì, dai, quella cosa che abbiamo fatto con maestra V., in cui prendevamo una poesia, tagliavamo ogni verso e poi ne componevamo una nuova tutta nostra!”
— “Vai avanti.”
— “Tagliamo le quattro poesie, poi formiamo tre nuovi gruppi, tutti diversi da quelli attuali. A quel punto, ogni gruppo sceglierà all’asta i versi da cui partire, e scriverà una nuova poesia.”
— “Sììììì!”
Un allievo di Lacan, Moustapha Safouan, racconta che un bravo maestro si riconosce da come reagisce quando, entrando in aula, inciampa prima ancora di arrivare alla cattedra.
La prima reazione è ricomporsi in fretta e far finta di niente. Non è interessante. La seconda è ricomporsi e, mentre lo fa, lanciare uno sguardo per individuare chi ride, per poi prendere provvedimenti disciplinari. Nemmeno questa è una buona posizione.
Il bravo maestro — dice Safouan — è chi inciampa e fa dell’inciampo il tema della lezione. I bravi maestri sanno inciampare. Non temono il limite del sapere. Ogni lezione è un rischio, ma i bravi maestri non temono la caduta.
(Un bravo maestro si riconosce da come inciampa, da L’ora di lezione, Massimo Recalcati)
La storia potrebbe finire qui. Di bravi maestri era piena, in quel momento, tutta la V B: tuttз lo sono statз, dentro un problema che da quattro poesie “di qualcunə” ha condotto a tre poesie “di tuttз”.
Nessunə sapeva più chi avesse scritto cosa, perché ogni poesia portava con sé versi di tuttз.
Potrebbe davvero finire qui.
Senza nemmeno dire che sì, abbiamo vinto il primo premio. E sì, non sapevamo chi aveva scritto proprio quella poesia.
Perché l’avevamo scritta davvero tuttз.

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