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Suoni da toccare, sillabe da suonare

Racconto qui un percorso individualizzato di sonorizzazione fonemica. Nel corso dell’anno, in una classe seconda primaria, ho avviato un percorso pensato per accompagnare con delicatezza una bambina con un ritardo del linguaggio nel consolidamento di alcune difficoltà fonemiche. Il lavoro, pensato per essere svolto una volta a settimana in uno spazio raccolto e privo di giudizio, si è tenuto per più settimane nell’aula di musica, ed è diventato progressivamente una ricerca condivisa sul suono, il corpo, il ritmo e la parola.

Ogni incontro è cominciato con una piccola esplorazione: insieme abbiamo raccolto e sistemato in aula tutti gli strumenti musicali trovati a scuola, integrandoli con alcuni strumenti portati da casa. Tamburi, sonagli, kalimba, legnetti, piatti, guiro, campane tibetane e oggetti sonori di ogni tipo sono stati a disposizione.

A partire da una singola sillaba difficile – ad esempio CA, che tendeva a essere confusa con TA nella pronuncia veloce – ho chiesto alla bambina di scegliere liberamente uno strumento che, per suono e sensazione, secondo lei potesse rappresentarla. Per CA, ad esempio, ha scelto un tamburo, apprezzandone il suono pieno, secco, riconoscibile. La sillaba è stata pronunciata e suonata, provata più volte, anche solo per gioco, per “farla entrare”.

Poi siamo passate alla lavagna o a un foglio, dove compariva la sillaba scritta. Da lì, insieme, abbiamo cercato parole che contenessero quella sillaba. Con ogni parola, la bambina doveva suonare lo strumento solo quando riconosceva il suono “giusto”: CA-NE, ad esempio, prevedeva un colpo di tamburo su CA, e poi silenzio su NE. Un gioco, una musica, una soglia di attenzione attiva.

Col tempo, e sempre nel rispetto dei suoi ritmi, il lavoro si è ampliato: abbiamo introdotto suoni più complessi per lei (come SCE, GA, STR, CE, GE…), abbiamo esteso il campo alle sillabe con lo stesso fonema (es. CA, CHE, CHI, CO, CU, QU, tutte legate al tamburo), e abbiamo associato ai suoni anche un colore: ogni suono ha avuto il suo, segnato nella scrittura (le sillabe associate al tamburo erano, ad esempio, rosse).

Sul quaderno abbiamo tracciato il percorso: disegno dello strumento, scrittura delle sillabe, uso dei colori, parole-suonate. La scrittura è diventata una traccia visiva di una memoria che era anche sonora e corporea.

In modo molto naturale, abbiamo sviluppato anche delle gestualità mimiche associate agli strumenti: ad esempio, il tamburo è stato tradotto in un movimento secco, con una mano che imitava un batacchio e l’altra aperta a ricevere il colpo. Questi gesti, ripetuti, sono diventati un codice personale. A scuola, durante la lettura in classe, è bastato mimare quel gesto perché la bambina si correggesse da sola: il richiamo non è stato più verbale, ma corporeo, ritmico, condiviso.

Col tempo, i gesti si sono trasformati in veri e propri giochi mimici fonologici: per distinguere parole che suonavano molto simili ma avevano suoni diversi e per lei critici – come CIELO e GELO – abbiamo inventato due gesti distinti, uno per ciascuna parola. Nei momenti di gioco, a turno pronunciavamo una delle due parole e l’altra doveva reagire eseguendo il gesto giusto. Piccoli giochi, ma profondi, perché hanno reso attivo e giocoso un ascolto molto raffinato.

Sottesa a tutto il percorso c’è stata anche una sfida reciproca di lungo periodo. Lei, che praticava danza, aveva come obiettivo quello di riuscire a leggere ad alta voce con pronuncia corretta, senza bisogno di controllo cosciente. Io, invece, avevo il mio personale obiettivo: imparare a fare la spaccata. Così abbiamo alternato i momenti di allenamento alla lettura con momenti di allenamento fisico, a terra, insieme, ognuna con i propri esercizi. Abbiamo riso molto. In fondo, ognuna ha lavorato con pazienza su qualcosa che all’inizio sembrava impossibile. E che, col tempo, ha preso forma. Anche questo è stato parte dell’alleanza.

[Per dovere di cronaca: io non ho imparato a fare la spaccata, lei mi illudo, invece, sia migliorata nella lettura. Questo mi ha anche insegnato molto di me e del mondo, di come certi limiti vadano forse accettati].

In questo percorso il suono non è stato solo un mezzo per rinforzare la corretta pronuncia: è diventato materia viva, da esplorare con il corpo, con le mani, con l’immaginazione. Lavorare con il sonoro ha permesso di rendere visibili e percepibili strutture linguistiche che, nella sola scrittura, rimanevano astratte. Ha portato la bambina ad ascoltare in modo attivo, a giocare con il ritmo e le sillabe, a riconoscere e rappresentare ciò che nella parola si muove.
Il suono, in questa esperienza, ha costruito ponti tra la lingua e il corpo, tra il pensiero e il gioco, tra l’apprendimento e la relazione. E, passo dopo passo, ha, così spero, trasformato un ostacolo in una possibilità.

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sono Chiara

lavoro come maestra nella scuola primaria

benvenutə tra le oltreluci, luogo di pensieri e racconti di scuola

le oltreluci accendono l’immaginazione e l’amore per la scoperta, aprono spazi sconfinati di pensiero poetico e critico, intrecciano le arti ad ogni sapere, che si fa così creazione e trasformazione

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