Quando, qualche settimana fa, abbiamo scelto con le colleghe i nuovi posti per l3 bambin3 della nostra classe, V mi ha chiamata nella sua isola, dalla quale non era stata spostata e ha detto, con i suoi occhi limpidi: “Maestra, sono ancora vicina a N e N mi disturba un po’, per cui, o trovate un altro posto per me o, tu, N, ti impegni un po’ di più perché diventiamo amici”. Sono passate tre settimane e V e N sono diventati amici, al punto che al prossimo cambio-banco sarà necessario dividerli per permettere loro di lavorare senza essere completamente assorbiti dalle loro conversazioni. V non ha avuto paura di dire con chiarezza come stavano le cose per lei in quel momento, e ha trovato il modo di farlo senza ferire N. La sua autenticità ha aperto la porta alla loro amicizia. Grazie V, per avermi mostrato che lo stare bene insieme – o separati-nasce anche dal coraggio della verità.
In una conversazione recente con le mie ragazze a casa, ho commentato non so più quale aneddoto che mi hanno riferito teorizzando solennemente: “Il saluto non si toglie a nessuno“. Mentre lo dicevo, già sentivo stridere in me qualche nota e poi ho realizzato che non è vero: ci sono momenti nei quali occorre persino quello. La pace non è fatta di negazione dei conflitti, ma di affermazione della necessità di risoluzione di qualcosa che merita di essere guardato dritto negli occhi. La pace non ha spazio per l’ipocrita finzione. E la pace, in maniera rispettosa della natura umana e, più in generale, del vivente e, a ben pensarci, di ogni cosa, ha bisogno in alcune fasi di riconoscimento dell’esistenza stessa del conflitto. Un giorno, S è venuta da me a lamentarsi che V le aveva detto qualcosa che era risuonato in lei in maniera offensiva. Le ho chiamate entrambe e ho chiesto loro di raccontarsi vicendevolmente cosa era accaduto. Poi ho domandato:” Avete ancora bisogno di stare arrabbiate o siete già pronte per provare a fare pace?”. Entrambe hanno convenuto che occorreva loro ancora un po’ di rabbia. Qualche ora dopo S ha regalato una barchetta di carta a V che l’ha accolta con gioia. Grazie S e V che mi avete mostrato che esiste un tempo per il conflitto, che anche nel momento della rabbia ci può essere spazio per l’ascolto, che la pace è un processo, non una imposizione.
La settimana scorsa, nella primissima attività del lunedì di racconto condiviso, il primo ad alzare la mano è stato L, che ha dichiarato con solennità: “Ho saputo che forse si farà un po’ meno la guerra”. L parlando di sé ha parlato del mondo. Grazie, L, perché sai naturalmente sentirti parte dell’umanità, e con la tua mano alzata rendi viva e vera una speranza remota che ci riguarda tutti.
Quando penso a quello che non posso affrontare con l3 bambin3 perché troppo difficile, credo di dare retta alla mia, di paura.
Perché poi arriva un lunedì nel quale loro mi chiedono conto del perché venerdì non sono stata a scuola con loro ma in piazza a manifestare, e io non posso e non voglio sottrarmi alla responsabilità di quella risposta.
La vita si presenta complessa sin da principio, e forse è un istinto comprensibile ma sbagliato quello di provare a proteggere i bambini dalla complessità di cui loro stessi sono fatti.
La complessità va accolta, letta secondo le lenti disponibili nella propria fase evolutiva e individuale.
Niente è semplice, e meno si crede che lo sia, meno saremo disposti — grandi o piccoli che siamo — a chi ci presenta soluzioni e interpretazioni facili, più saremo capaci di costruire dentro e fuori di noi una cosa complessa e viva e piena di movimento come la pace, che non nega i conflitti ma li attraversa.
Mi piacerebbe provare a far circolare questi contenuti senza i social, come semi trasportati dal vento o dalle mani di chi li trova interessanti. Se questo post ti è piaciuto, puoi condividerlo con qualcuno a cui potrebbe parlare. E se vuoi ricevere le ‘oltreluci a domicilio’, trovi tutto nel banner laterale. Grazie! Chiara


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